È successo a molti imprenditori, HR o manager di trovarsi davanti a conversazioni WhatsApp poco piacevoli tra colleghi, magari inoltrate “in buona fede” da un dipendente all’altro.
Il primo istinto è quello di usarle come prova per un richiamo, una contestazione o addirittura per avviare un procedimento disciplinare. Ma attenzione: farlo può significare violare la legge. La Cassazione, con la sentenza n. 14063/2024, ha stabilito un principio molto chiaro: le conversazioni private su WhatsApp non possono essere utilizzate come base per un provvedimento disciplinare se non sono state acquisite in maniera lecita. Questo vale anche se le chat vengono condivise da un altro dipendente.
Il motivo? Il diritto alla riservatezza è costituzionalmente tutelato e riguarda ogni forma di corrispondenza, comprese le chat digitali. Non è sufficiente che la conversazione sia avvenuta tramite un dispositivo aziendale, né che sia stata visualizzata accidentalmente: serve sempre il consenso esplicito del lavoratore oppure una base giuridica conforme al GDPR.
Questo cambia radicalmente le carte in tavola per imprenditori, manager e responsabili delle risorse umane. L’azienda non può più agire “in automatico” di fronte a contenuti compromettenti. Deve piuttosto verificare la liceità del trattamento del dato, valutare la proporzionalità dell’eventuale intervento disciplinare e assicurarsi che ogni passaggio sia documentato e giustificato.
Il rischio di utilizzare in modo scorretto questi contenuti è molto concreto: si può incorrere in sanzioni per violazione della privacy, impugnazioni del provvedimento da parte del dipendente, danni d’immagine e, nei casi più gravi, cause legali che si possono evitare con la giusta prevenzione.
Per questo è fondamentale dotarsi di policy chiare sull’uso degli strumenti aziendali, formare adeguatamente il personale su privacy e comunicazioni digitali. Pensare che una chat sia “solo uno screenshot” può costare caro. La disciplina in materia è chiara: le aziende hanno il diritto di tutelarsi, ma devono farlo nel rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori.