Quante volte hai visto l’etichetta “Made in PRC” e ti sei chiesto se fosse un modo per “nascondere” la provenienza cinese del prodotto? Facciamo chiarezza, con norme, prassi italiane e casi reali.
In un mercato globale in cui ogni dettaglio può fare la differenza, l’etichetta di origine è molto più di una formalità. “Made in PRC” – acronimo per People’s Republic of China – è una formula sempre più usata, soprattutto da importatori e aziende che acquistano prodotti fabbricati in Cina. Ma è davvero sufficiente? È legittima? E soprattutto: è sicura dal punto di vista legale?
La normativa europea, in particolare il Reg. UE 952/2013, non impone una formula linguistica specifica, ma richiede che l’origine sia chiara, non ambigua e non ingannevole per il consumatore. In questo contesto, “Made in PRC” risulta perfettamente conforme, in quanto PRC è un acronimo riconosciuto a livello internazionale per la Repubblica Popolare Cinese.
In Italia, la prassi è chiara. La dicitura “Made in PRC” è tollerata e accettata dalle autorità competenti – Agenzia delle Dogane, Guardia di Finanza e Ministero delle Imprese e del Made in Italy – a patto che sia visibile e non accompagnata da grafiche o elementi che inducano in errore (come bandiere italiane o scritte evocative dell’Italianità). La Circolare ADM 20/D/2005 lo conferma: il problema nasce solo quando l’origine viene nascosta o alterata. Anche la giurisprudenza ha confermato questa lettura. La Corte di Cassazione (sentenza 13712/2005) ha chiarito che riferimenti all’Italia – come il tricolore – non sono reato se indicano la nazionalità dell’impresa e non l’origine materiale del prodotto. Questo distingue chiaramente tra imprenditorialità e luogo di produzione.
Tuttavia, il rischio è dietro l’angolo. “Made in PRC” può essere contestato se viene oscurato, coperto da cartellini o grafiche, o se è inserito in un contesto che suggerisce una provenienza italiana. In questi casi, si può parlare di etichettatura ingannevole e le sanzioni non tardano ad arrivare.
Infine, attenzione agli Stati Uniti. Lì le regole sono diverse. “Made in PRC” non è accettato. La legge impone che l’indicazione sia “Made in China” e scritta in lingua inglese, senza possibilità di alternative. Ignorare questo aspetto può bloccare le spedizioni in dogana. 🧾
Cosa fare allora? È fondamentale usare la dicitura giusta, nel modo giusto, a seconda del mercato di destinazione. Visibilità, trasparenza, coerenza grafica e rispetto delle prassi locali sono essenziali per evitare blocchi doganali o, peggio, contestazioni legali.
Se un’impresa che opera su più mercati o un consulente che supporta clienti internazionali, è fondamentale avere sotto controllo ogni dettaglio. Verifica le tue etichette oggi.